
Serebrennikov, 'racconto l'atroce mondo di Mengele'

August Diehl è il medico di Auschwitz in fuga in Sud America
(dell'inviata Alessandra Magliaro) Un anno fa l'arrivo sulla Croisette di Kirill Serebrennikov con Limonov era stato salutato con applausi. Il regista russo, nato a Rostov, nel 2021 condannato a tre anni di carcere e rifugiato a Berlino, è tornato al festival di Cannes dove ha ricevuto la prestigiosa onorificenza della Legion d'Onore francese. E con il nuovo film che in quell'occasione aveva anticipato. Tratto dal romanzo bestseller dello scrittore francese Olivier Guez, La scomparsa di Josef Mengele (Neri Pozza) e presentato in Cannes Premiere, è un film on the road sulla fuga in Sud America all'inizio degli anni '50 del medico scienziato tristemente noto come L'angelo della morte per sadici esperimenti genetici sui deportati del campo di sterminio di Auschwitz, specialmente sui gemelli, sui bambini, sui rom e i disabili. Affidato al grande attore tedesco August Diehl, che era già stato un orrido maggiore della Gestapo in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino (ma anche il tenero Franz della Vita Nascosta di Terrence Malick), Mengele viene raccontato da Serebrennikov nel suo triste peregrinare, braccato o sentendosi braccato dagli ebrei che lo vorrebbero smascherare come fecero con l'ufficiale delle SS Adolf Eichmann catturato in Argentina negli anni '60 e portato in Israele per essere processato e successivamente impiccato. Josef Mengele, bavarese di Gunzburg, di estrazione alto-borghese, convinto seguace della teoria del razzismo biologico su cui ad Auschwitz condusse esperimenti, nazista fino al midollo e fino alla fine dei suoi giorni nonostante falsi nomi in Sud America tra Argentina, Paraguay e Brasile, fece parte di quella comunità di rifugiati nazisti sotto copertura, con i loro riti nostalgici e giardini decorati con svastiche. Nel film (arriverà in Italia con Europictures), il regista racconta l'esistenza caduta in basso di Mengele, macellaio in fazende sperdute, sempre con la valigia pronta al minimo sospetto, donnaiolo inquieto, nascosto in squallidi tuguri e mai domito, sempre convinto delle sue teorie e pronto a imprecare contro la congiura su di lui quando 20 furono i medici in forza al campo di sterminio, uno più sadico dell'altro (li cita con le loro tristi specialità uno ad uno). La sua seconda vita post guerra è tutta in bianco e nero, i colori tornano per mostrarcelo giovane scienziato (scene che ricordano The Zone of Interest) e si fanno lividi nelle terribili sequenze che ricostruiscono l'orrore di Auschwitz. A un certo punto, con l'aiuto della ricca famiglia d'origine che sempre lo aveva finanziato negli spostamenti, arriva dall'Europa il figlio ormai grande, ma la distanza è grande e il rapporto conflittuale. Mengele non fu mai catturato e morì in Brasile nel 1979 durante una nuotata, identificato poi con la prova del Dna. "Parlare costantemente di Auschwitz è una necessità - ha detto il regista russo in esilio - per ricordare alle persone di cosa è capace l'umanità". Filmare gli esperimenti e ricostruire il campo "è stato davvero un problema, anche se sapevo fin dall'inizio che dovevo assolutamente mostrarlo, altrimenti avrei rischiato di giustificare Mengele. Non parlarne potrebbe portare a dimenticare". Il regista esule segue con preoccupazione "le cose terribili" che accadono in Russia: "Oggi si finisce in prigione per poesie contro la guerra".
L.Jeong--SG